Il sapore del pane

Simona interpreta il racconto di Giuliana 

Tempo di lettura: 7 minuti

Pubblicato il 13/05/2015

Rinaldo era alto e magro, il viso abbronzato dal sole, i capelli biondi e schiariti, e gli occhi azzurri, chiari come il cielo e come il lago che tanto lo affascinava. Ma non lo vedeva mai di quel colore, non lo vedeva mai di giorno. Il lavoro lo teneva lontano dalle cose che più lo attiravano, così si contentava di uscire la sera, quando non il sole, ma la luna rischiarava il mondo.

Qualche volta gli piaceva camminare di notte, nel silenzio del mondo.

Odiava la frenesia delle vie, trafficate da automobili e congestionate dalle parole spesso inutili che rimbalzavano da una parte all’altra, senza costrutto, senza motivo. Invece a Rinaldo piacevano il silenzio e la moderazione; sapeva che in molti lo consideravano piuttosto strano, un elemento anomalo e di disturbo nel panorama della generalità degli uomini. Si era impegnato, da ragazzo, aveva cercato con costanza e perseveranza di sembrare almeno simile a tutti i compagni, benché sapesse che dentro, proprio nell’intimo, neppure li riconosceva come tali.

Non c’era stato niente da fare! 


Con gli anni aveva imparato a convivere per la maggior parte del tempo con i suoi simili, per studio, per lavoro, per le necessità solite e comuni. Ma gli restava in cuore un sentimento di alterità, una spinta forte a rifuggire la confusione e la superficialità che lo circondavano. Una volta una ragazza, con cui aveva iniziato una relazione amorosa, ma con la quale sperava di stringere un legame più forte, gli aveva chiesto se fosse davvero convinto di restare a vivere nel mondo o se non gli fosse stata più congeniale la vita nel chiostro. Aveva riflettuto su quella domanda, non ci aveva dormito la notte, poi l’unica conclusione cui era arrivato era stata quella di lasciare la fidanzata. Una donna che non capisse il suo spirito non era giusta per lui, aspirava a una maggiore e più completa affinità, non sarebbe stata una domanda da farsi, quella, avrebbe dovuto essere chiara l’essenza del suo spirito. Non aveva più cercato un amore, temendo di sentirsi più solo quando pensava invece di avere incontrato l’altra anima che non l’avrebbe mai abbandonato.

Non aveva nessuna idea di rinchiudersi tra quattro mura, benché mura splendide e ricche di storia, come quelle del monastero che si affacciava sul lago. Qualche volta aveva usufruito della pace di quelle pietre, conosceva i frati, che in fila, col capo celato dal cappuccio e le mani infilate nelle larghe maniche, passavano dalla chiesa al refettorio, attraversando il chiostro. Spesso si era attardato proprio in quell’hortus clausus, come lo definivano i frati, a primavera, quando fioriva di essenze profumate, mentre il lago sotto di loro restituiva al convento la luce del sole, ingentilita dall’azzurro dell’acqua. Fra Gervasio glielo aveva proposto, hora et labora poteva essere una scelta possibile, non necessariamente diventare frate, ma restare lì, a curare il giardino e l’orto… Ma no, chiuso lì per sempre, non gli dava nel genio. Così continuava a vivere in mezzo agli altri, in un suo eremitaggio personalissimo.

Anno dopo anno, mentre il mondo moderno, con i suoi rumori e con le sue liturgie, cresceva a dismisura, Rinaldo si ritirava sempre più nel luogo che meglio lo completava: aveva acquistato una piccola casa, poco più che una bicocca; il tetto la copriva ancora, forse per una scommessa fatta con la pioggia e col vento, mentre il sole aveva screpolato l’intonaco, divertendosi a incidere disegni astratti incomprensibili agli uomini. Appena l’aveva vista ne era stato conquistato: sarebbe stato il luogo in cui rifugiarsi ogni momento libero dal lavoro. Tutti i suoi risparmi erano stati messi nell’acquisto e poi tutto il tempo libero dal lavoro era stato impiegato nella ristrutturazione di quel piccolo rifugio; intorno, nel terreno, dove la Natura aveva ripreso il sopravvento dopo anni di abbandono e dove le margherite e i nontiscordardime intessevano un tappeto colorato su cui gli occhi di Rinaldo riposavano, finalmente in pace. Quando il restauro fu terminato l’uomo si trasferì nel suo personale paradiso. 

Davanti a casa aveva riattato anche un forno e si era ingegnato a cuocersi il pane. Provava un piacere indescrivibile quando impastava la farina e l’acqua, aveva ottenuto da un fornaio in città del lievito madre, poi lo metteva a cuocere e attendeva che dal forno si sprigionasse quel profumo caldo e avvolgente, che sapeva di buono, che indicava che il pane era pronto. L’inizio era stato difficile, come spesso sono gli inizi, troppa legna, poca legna, troppo lievito, poco lievito. Tanto pane era andato bruciato, tanto era stato ritirato dal forno troppo presto. Ma alla fine aveva trovato le quantità e i tempi giusti.

Non tutto il male era venuto per nuocere, però: il pane che non si poteva mangiare perché crudo o perché bruciato era divenuta una ricchezza. Usignoli, passeri, ghiandaie, uccelli di ogni sorta si davano appuntamento nel luogo dove Rinaldo sbriciolava quegli errori culinari. L’uomo era felice, quei cinguettii, quei canti gli facevano compagnia, molto più delle persone con cui aveva a che fare durante la giornata.

Rinaldo finalmente era felice, aveva trovato il modo di allontanare i rumori e il vociare del mondo, il suo animo rinasceva e si apriva, sbocciando come un fiore apre la corolla e si mostra in tutto il suo splendore.

Un giorno un rumore leggero, una via di mezzo tra il vagito di un bimbo e un miagolio attirò la sua attenzione. L’uomo guardò intorno alla casa, sotto i cespugli di rosmarino e lavanda, dietro la salvia, protetta da un muretto di pietre, sotto i due meli che gli regalavano frutti in abbondanza nel tempo propizio, ma non riusciva a individuare l’origine di quel pianto, perché tale era. Poi, sotto un piccolo roseto selvatico di rosa canina, che ancora non era fiorito, ma solo punteggiato dal rosso delle sue bacche, scoprì che una volpe giaceva ferita a morte con due piccoli volpacchiotti, affamati e soli, che non sapevano staccarsi dal corpo della madre. Rinaldo rimase senza fiato, mai si sarebbe aspettato di avere l’occasione di allevare due cuccioli, di volpe poi, di un animale selvatico di cui non conosceva né necessità e nemmeno abitudini. Come fare? Non poteva lasciarli così, sarebbero morti senza dubbio, ma anche temeva che, se li avesse raccolti in casa come se fossero animali domestici, avrebbe rovinato la loro essenza selvatica. Gli venne in mente che in città c’era uno studio veterinario di cui aveva sentito parlare, avrebbe chiesto aiuto e consiglio. Si affrettò a prendere i due piccoli, nonostante fosse chiaro che temevano quelle mani estranee, quell’odore che era così dissimile da quello materno. Li portò in casa, e depose i due cuccioli in un cesto, in cui aveva messo una coperta di lana; non era il pelo della madre, a scaldarli, ma era morbida e i due volpacchiotti parvero gradire la nuova cuccia. Ma ben presto ricominciarono a mugolare, la fame li rendeva fragili e insieme imperiosi. L’uomo si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse servire come sostituto del latte materno. Il pane, il suo pane che aveva nutrito per tante volte gli uccelli che frequentavano il suo giardino, avrebbe sfamato anche quei piccoli. In una ciotola mise della mollica, la bagnò con del latte e la pose davanti ai due musetti frenetici. I volpacchiotti ebbero un attimo di esitazione, poi la fame ebbe il sopravvento sulla prudenza nei confronti di qualcosa di sconosciuto. La ciotola fu svuotata in poco tempo, poi i due piccoli si acciambellarono e si addormentarono, dimentichi della tragedia che avevano appena vissuto. Una volta assicuratosi che tutto fosse in ordine, Rinaldo uscì, chiuse la porta, poi fischiò a Grifone, il suo cane, gli diede una carezza e gli raccomandò di fare buona guardia. Fece un fagotto della volpe morta, inforcò la bicicletta e pedalò veloce in direzione dello studio veterinario. Fu fortunato, non c’era nessuno e non dovette aspettare il suo turno.


«Entri, la prego», sulla porta si affacciò la dottoressa, una giovane dai capelli rossi, con due brillanti occhi verdi. Rinaldo per un attimo non seppe cosa dire, tanto che allungò il fagotto con la povera bestiola. La dottoressa lo prese e, dopo aver visto cosa conteneva, guardò Rinaldo con aria interrogativa.

«È venuta a morire sotto un cespuglio di rose canine vicino a casa mia. Aveva due piccoli».

«Capisco. – l’interruppe la giovane – Cosa vuole che le dica?».

«Ho dato del pane e del latte ai cuccioli e li ho lasciati che dormivano. Ho sbagliato?».

«No, il pane è sempre pane, non fa male. Forse non basterà. Avranno bisogno di carne, e poi non so quanto siano piccoli».

«Venga a vederli, la prego», le chiese Rinaldo, che improvvisamente sentiva di aver incontrato un essere umano che aveva interessi e gusti simili ai suoi. Non avrebbe saputo dire perché, e la giovane dottoressa, anche lei senza un motivo razionale, accettò l’invito. Si disse che non si era mai presa cura di volpacchiotti, e la cosa l’incuriosiva. Dal punto di vista professionale, ovviamente.

«Stavo per chiudere l’ambulatorio, se vuole posso venire subito». Rinaldo sorrise, ma le fece presente che era in bicicletta, le avrebbe dato l’indirizzo, ma avrebbe dovuto aspettarlo, ci avrebbe messo più tempo di lei con l’automobile.

La giovane scoppiò a ridere.

«Stavo per avvisarla io che sono su due ruote, che ci avrei messo del tempo».

«Se è così, andiamo, faccio strada».

Sembrava una passeggiata tra due vecchi amici, pedalavano insieme, chiacchierando del più e del meno, commentando il traffico, il rumore, l’odore sgradevole di fumi di origine diversa che ammorbavano l’aria. Finalmente giunsero alla vecchia casa nel prato, in vista del lago azzurro. Il cane arrivò scodinzolando, accettando la nuova venuta senza dare segno di fastidio.

«Questo posto è splendido, sembra di essere mille miglia lontani dalla città», esclamò la veterinaria.

«Nella mia immaginazione è lontano nel tempo, è immerso nel silenzio dove ascolto solo i miei pensieri e il canto del mondo», rispose Rinaldo, sentendo per la prima volta che forse era davvero troppo solo.

«Vediamo i cuccioli. - la giovane lo riscosse dalle sue riflessioni. A proposito, mi chiamo Giada».

Chissà perché l’aveva detto, non era sua abitudine parlare così a chi ricorreva a lei per lavoro.

«Entriamo», e il giovane fece strada in casa. Li accolsero il profumo del pane e le capriole dei volpacchiotti, che si erano svegliati e ruzzavano allegramente.

Chissà perché Rinaldo pensò che quel giorno non solo i cuccioli avevano trovato una vera casa.

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Le fotografie di Simona e il racconto di Giuliana hanno creato un'emozione ??                             Lascia un commento qui sotto così le artiste potranno leggerlo, grazie !!

Commenti: 21
  • #21

    Giuliana Pedroli (mercoledì, 15 luglio 2015 12:22)

    La tranquillità e la pace sono i doni più belli che la vita ci possa offrire. Sta a noi riempire il nostro tempo con chi o con ciò che più ci è affine e ci fa star bene. Il racconto è dolce e delicato, le foto aiutano, ammesso che ce ne sia la necessità, a completare il quadro idilliaco. Tutto lascia spazio al futuro e alla speranza ...

  • #20

    salsa sara (domenica, 12 luglio 2015 11:21)

    racconto romantico e carino.questo prova che l amore per gli
    animali e forte come l amore per gli esserei umani anzi di piu.
    molto belle le foto.sara

  • #19

    Ele (martedì, 23 giugno 2015 00:09)

    Anche questa è una piacevole lettura a lieto fine, a quando il prossimo racconto ? ☺

  • #18

    Giorgio (martedì, 26 maggio 2015 20:39)

    Piacevole lettura, belle foto.
    Ho apprezzato molto l'altro racconto della signora Borghesani, le opere mi hanno incantato.
    I racconti della signora Cafarella Pria invece mi hanno un pò intristito, le foto hanno ingentilito i testi.
    Una cosa è assodata: entrambe le signore hanno grande proprietà di scrittura.
    Complimenti per l'iniziativa, cordiali saluti.
    Giorgio

  • #17

    Debora (martedì, 26 maggio 2015 18:17)

    mi e'' sembrato di vivere il mio sogno per un istante. 7 minuti di paradiso. Grazie

  • #16

    Mia (giovedì, 21 maggio 2015 12:04)

    Sento il profumo del pane appena sfornato :)
    Amo i paesaggi lacustri, l'acqua mi da un senso di tranquillità e pace , bella interpretazione fotografica.

  • #15

    Sofia L. (lunedì, 18 maggio 2015 13:40)

    Ieri ho pranzato alla Cascina, ho letto sulla lavagna di questa rubrica virtuale, oggi ho dedicato del tempo per leggere questo racconto, leggerò anche gli altri, sono piacevolmente impressionata per l'iniziativa, un racconto che stimola la fantasia, gran belle foto.
    Arte nel piatto, sulle pareti del ristorante, arte nelle iniziative, il fascino del bello e del buono.
    Complimenti a tutti !
    Sofia

  • #14

    Erminio (venerdì, 15 maggio 2015 13:36)

    Complimenti donne per i racconti, le immagini e i quadri
    Traspare molto passione in quello che fate, un solo commento per tutte e tre le situazioni:
    BRAVE !

  • #13

    luigi (giovedì, 14 maggio 2015 22:38)

    Una favola, una bella favola, bella iniziativa

  • #12

    mirazanetta (giovedì, 14 maggio 2015 20:15)

    Bellissima..brave

  • #11

    Simona (giovedì, 14 maggio 2015 18:09)

    Lago Maggiore e Lago d'Orta :)

  • #10

    Giannino (giovedì, 14 maggio 2015 15:48)

    Ma che splendide foto, è il lago Maggiore ? Anch'io faccio il pane nel mio rustico, mi manca la veterinaria, devo assolutamente provvedere !

  • #9

    Francesca (giovedì, 14 maggio 2015 14:12)

    Bello il racconto, meravigliose le illustrazioni.

  • #8

    il mio mondo è la lettura leggiamolo insieme (giovedì, 14 maggio 2015 14:07)

    bello emozionante..il racconto mi ha riportato indietro nel tempo con i profumi e sapori..le foto favolose

  • #7

    Ornella (giovedì, 14 maggio 2015)

    Semplice, delicato e pieno di speranza, un salto nell'incanto dell'ingenuità.

  • #6

    PATRIZIA POLLATO (giovedì, 14 maggio 2015 08:24)

    CONNUBIO MERAVIGLIOSO LE IMMAGINI HANNO DATO CORPO ALLA MIA IMMAGINAZIONE CHE CON IL RACCONTO SOSPESO HA PRESO IL VIA VERSO UN PROSEGUO TUTTO MIO GRAZIE ALLE ARTISTE!

  • #5

    Anna (giovedì, 14 maggio 2015 05:24)

    Bellissimo,fluido,emozionante...la perfetta e minuziosa descrizione ti fa entrare nel vivo del racconto...e il finale lascia spazio all'immaginazione.

    (Complimenti a Sabrina per l'idea....ma dormi però la notte, anche se ti porta consiglio con splendide idee.....riposa.)

  • #4

    eli (mercoledì, 13 maggio 2015 23:43)

    Ma che bella cosa ! Spensieratezza, piacevoli emozioni, grazie !
    Ma chi si è inventato questo sito ? Chi ha avuto questa bella idea ?

  • #3

    Roberta Luna Sieben (mercoledì, 13 maggio 2015 23:29)

    Racconto davvero commovente e veste figurativa bellissima. Complimenti a tutti quelli che hanno creato questa "emozione" :)

  • #2

    Alice Milani (mercoledì, 13 maggio 2015 23:03)

    Molto bello, piacerebbe anche a me vivere in un posto così

  • #1

    anita bottazzo (mercoledì, 13 maggio 2015 22:51)

    bellissimo..mi sono commossa...le foto stupende....
    grande sabrina riesci sempre a sorprendermi con qualcosa di nuovo